mercoledì 9 ottobre 2013

Le interviste alla rovescia: Emanuele Vannini

Un mese fa – forse anche meno – è uscito Il Tensore di Torperterra, primo libro, o esordio letterario, come si dice, di Emanuele Vannini. Dato che l'ho letto in una settimana e ne sono rimasto estasiato, dato che non pubblicavamo da un po' di tempo delle interviste alla rovescia, dove è lo scrittore a fare le domande al lettore perché viceversa gli autori dicono sempre le stesse cose, e dato infine che Vannini lo conosco bene, mi è capitato di berci insieme, e ha partecipato alle nostre Schegge di Liberazione con un pezzo dal titolo Va là tugnino che leggiamo spesso e volentieri dal vivo; date tutte queste cose, gli ho chiesto se aveva voglia di farmi delle domande su Il Tensore di Torperterra. Lui me le ha fatte, io ho risposto, dopo è arrivato osvaldo e ha risposto anche lei. E quella che segue è la quarta intervista alla rovescia di Barabba.

Emanuele Vannini – Ciao Barabbi, grazie mille di aver letto il mio libro e di avermi interpellato. Grazie mille anche perché, senza l’esperienza degli Schegge di Liberazione, il mio libro non sarebbe mai stato scritto. Mi piace parecchio l’idea di questa intervista rovesciata, quindi iniziamo subito senza tanti giri, dài. Io ho scritto Il Tensore di Torperterra visto che Blonk.it, nella personciona di Lele, ha avuto la bontà di chiedermi di farlo e la pazienza di leggerlo e migliorarlo. Di cosa parla?
Many – Ciao Vannini, vedo che abbiamo preso subito la piega dell’interrogazione. Molto bene. Penso che Il Tensore di Torperterra parli della Romagna e dei romagnoli. Della Romagna e dei romagnoli costieri, soprattutto. Anche se dentro ci sono la matematica, la guerra, la psicanalisi e un cane, quello che viene fuori dal Tensore è la vita di un paese costiero, un paese come un altro, coi suoi abitanti, la sua storia. Poco dopo aver iniziato il libro, mi è capitato di andare a Divertimentificio (come viene chiamata Rimini nel libro) e quando sono tornato a casa ho deciso di fare un po’ di litoranea, per quella sfilza che non finisce mai di paesini uno attaccato all’altro che c’è su tutta la Riviera romagnola, e mentre li attraversavo, che ormai non hanno più l'ombra di una periferia, li divide solo un cartello, e a destra avevo il mare, a sinistra gli alberghi e le case che a fine settembre cominciavano a svuotarsi, mi dicevo: diobò, qui è tutto Torperterra.
osvaldo – Vede, Vannini, il Many si impressiona dell’Adriatico, della costa, del mare. Io e lei invece sappiamo che questo suo Tensore parla di casa, di intima casa. E che la Romagna qui è solo un pretesto. Il miglior pretesto da suo punto di vista, logicamente, per parlare di uno spazio intimo come la casa. C’entra qualcosa il moscone? Ah no, scusi, il Many mi ha detto che non posso far domande.

E.V. – Il mio romanzo viaggia su livelli temporali diversi: i capitoli “dispari” sono ambientati in un presente non troppo specificato, mente i capitoli “pari” sono ambientati tra la primavera e l’estate del 1944. Il Tensore vuole essere un libro divertente; scrivendolo, mi sono trovato a far quasi fatica a infilare cose serie nei capitoli dispari e cose che muovessero al sorriso nei capitoli pari. C’è troppo “salto”, tra le atmosfere e i temi dei capitoli?
M. – Te forse non ti rendi mica conto di come sia semplice per il lettore, e quasi naturale, mi vien da dire, saltare dal tragico al comico, che in fondo sono la stessa cosa, o comunque vanno volentieri in giro insieme. Come dice il grande filosofo contemporaneo Learco Pignagnoli: «Se non c'è niente da ridere vuol dire che non c'è niente di tragico, e se non c'è niente di tragico, che valore vuoi che abbia.» Toh mo.
o. – Generazioni cresciute con Ritorno al futuro capiranno perfettamente. Anche quelle che non ci sono cresciute, tanto lo hanno visto praticamente tutti quel film: stia sereno.

E.V. – Il libro è un’opera prima (probabilmente anche un’opera ultima, ché è stata una fatica bestia e poi mica ci avrei scommesso neanche un caffè, che arrivavo in fondo): voi che siete gente che i libri li consuma come l’olio quando si fa la bruschetta, avete ravvisato ingenuità o mancanze dovute alla mia mancanza di esperienza, di abitudine a scrivere cose lunghe?
M. – Le cose che fanno un po’ venire il nervoso del Tensore di Torperterra sono essenzialmente legate all’editing (qualche refuso, gli interlinea troppo grandi dopo i paragrafi, cose così), ma da quelle sei discolpato. Forse ci sono delle ingenuità in certi punti della prosa (molto pochi, in verità; due o tre, diciamo), tipo alcune metafore un po’ troppo spinte, ma non lo so, tutto sommato sono belle lo stesso. Ecco, una cosa che mi è piaciuta molto, e che secondo me hai cercato ma non più di tanto, e forse t’è venuta così bene più che altro per ingenuità o disabitudine, è il montaggio di alcune scene in maniera cinematografica, anzi, proprio da serie TV. Non c’è traccia di manierismo, ti è venuta così spontanea che leggerla è un piacere.
o. – Ho pensato, in diversi punti, di volere leggere ancora qualcosa e che quel che avevo letto fosse troppo poco. Per come la vedo io, quando si legge di un personaggio in un libro, si può avere il desiderio di portarselo in giro oppure no. Quando capita la prima cosa, è un peccato se poi quel personaggio non può uscire e ha da fare altrove.

E.V. – La scrittura, per come son capace di usarla io, è un mezzo per sfogarsi, una valvola di sfogo emotiva e di vissuti. Nel Tensore ho scelto di scrivere cose che vorrei i miei figli leggessero tra vent’anni (anche prima, magari). Ci sono come dei flash, in giro per il libro, di cose che volevo dire. Lo so che la domanda è confusa, ma la faccio lo stesso: c’è qualche passaggio o qualche frase quasi “di sfogo” che vi è rimasta attaccata addosso?
M. – Sarà anche per via delle Schegge di Liberazione, ma forse le parti ambientate nel 1944, con i relativi sfoghi, sono quelle che mi si sono appiccicate di più. Penso che tu abbia fatto un gran servizio ai tuoi figli. E anche ai miei (per adesso non ne ho, ma chissà, tra vent’anni).
o. – Come il Many, tranne per la questione dei figli.

E.V. – Secondo me, scrivere è uno spazio di libertà: puoi fare succedere tutto quello che ti pare, come nei sogni. E, come nei sogni, chi scrive crea personaggi – a volte partendo dalla vita reale – e li fa agire e vivere. Così come nei sogni, quindi, tu sei tutti quelli che sogni (poiché inconsciamente ci metti del tuo), nei romanzi – se sei l’autore – sei tutti i personaggi. Però, quando il libro esce, questi personaggi smettono di essere “tuoi”: parlano, vengono immaginati e si raccontano al lettore, che li fa propri. Non è più roba tutta mia, è roba vostra. Se qualche volta ne parliamo, è roba nostra. Nel mio libro, c’è qualche personaggio che vi risuona di più, che avete “fatto vostro” maggiormente?
M. – Per me è il barbiere. Lui e il suo negozio sono talmente fondamentali che il libro potrebbe anche chiamarsi Il TONSORE di Torperterra. Ce ne sarebbe un altro, di personaggi, che mi ricorda molto un mio parente che adesso è morto, ma se lo dico spoilero delle cose e non mi va. L’ultima volta che ci siamo visti ero arrivato a metà libro. Era un bel po’ che non ci incontravamo – un anno? La blogfest 2012? Boh... – e sono contento che ci siamo incontrati perché dopo averti sentito parlare nella seconda metà del libro i dialoghi avevano tutto un altro accento.
o. – Il barbiere anche io, perché ne conosco uno, al mio paese, che gli assomiglia molto e una volta gli ho domandato di tagliarmi i capelli. E lui mi ha guardato e ha detto: “Sei una signorina, vai dalla parrucchiera.” Credo sia stata la prima volta in cui ho pensato alla questione del genere in vita mia. Solo che avevo 8 anni.

E.V.Il Tensore di Torperterra è stato scritto di notte, tra l’una e le tre – tre e mezza. Avevo tempo anche prima e durante il giorno, ma io sono un po’ pipistrello, e le cose importanti le ho sempre fatte di notte. Quando stavo in cucina da solo e rileggevo, data l’ora, ero in piena esposizione emotiva da “Di notte sembra tutto più grande”, così delle volte ridevo e delle volte piangevo da solo, come un patacca, a causa di cose che avevo scritto poco prima. Era mia speranza che – per qualche strana forma di magia fatta di segnetti che ballano su un foglio - questa attivazione emotiva si riuscisse a “respirare”, a farla propria, leggendo il libro. E’ così?
M. – Non lo so. Secondo me fai delle domante troppo lunghe. Comunque, quando ho iniziato a leggerlo stavo mangiano un’insalata con i pomodori, il tonno e i fagioli in un bar dove vado sempre in pausa pranzo. A un certo punto ho dovuto controllarmi perché stavo ridendo con le ganasce spalancate e a momenti mi affogavo con un fagiolo. La gente del bar mi guardava come si guardano i matti. Il giorno dopo, in pausa pranzo, ho letto il primo dei capitoli sulla guerra e lì invece ho dovuto buttar giù un magone o due. Meno male che stavo mangiando un panino con la cotoletta, che è più gestibile in questi casi.
o. – Non ho capito la domanda. Ho capito solo patacca.

E.V. – È un bel libro?
M. – Sì. È un bel libro. Mi sbilancio un po’ di più: per quanto rispecchia la terra di cui parla, la sua gente, la sua storia, la sua lingua; per i personaggi che sono tutti e soli quelli che servono per raccontare la storia e sono perfettamente delineati e indispensabili l'un l'altro; per la vita che c’è tra le pagine, la comicità, la tragedia; per queste e molte altre cose, secondo me, è un'opinione personale, prendila così, come viene, ma secondo me Il Tensore di Torperterra ha tutte le caratteristiche per essere – adesso magari esagero, dico una cosa grossa – un classico.
o. – Che logorroici che siete! Sì.

E.V. – Bòn. C’ha ragione “o.”, per cui la faccio corta. Vi ringrazio di avermi chiesto di farvi delle domande e di aver pure risposto. Ciao Barabbi, state bene.
M. – Saluti a te, Vannini. Ci vediamo presto.
o. – Ciao.

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Il Tensore di Torperterra è stato pubblicato il 16 settembre 2013 dell'editore Blonk, che fa solo libri elettronici (se questo per voi è un problema, è un problema vostro). Si trova in tutte le librerie online d'Italia: Amazon, Bookrepublic, Simplicissimus, eccetera. Io, fossi in voi, lo comprerei e ne godrei come si deve. Poi fate come vi pare.

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