mercoledì 24 novembre 2010

Il macchinario reale del karma

Quando studiavo Controlli Automatici, ci avevano insegnato che una funzione reale non si comporta mica come una funzione teorica. Prendiamo, per esempio, una costante. Nel piano cartesiano, per semplicità consideriamo solo il primo quadrante, la costante che abbiam preso è una linea retta che parte attaccata all’asse delle y e va avanti parallela all’asse delle x, e può andare avanti per sempre. Una costante è una funzione che non cambia mai, che è sempre dritta, un po’ come uno vorrebbe che fosse la sua vita, senza particolari felicità ma anche senza dei gran traumi. Ecco, un macchinario che deve replicare un segnale costante non ha niente di dritto. La funzione reale che corrisponde alla costante teorica parte subito con una curva che supera il valore che vogliamo raggiungere, quello della costante che avevamo preso, poi c’è un’altra curva che va sotto, poi un’altra curva che va sopra, ma più vicina alla costante della prima curva, poi ce n’è un’altra che va sotto, e anche questa più vicina alla costante della seconda, poi un’altra sopra, un’altra sotto e così via, finché l’oscillazione è talmente piccola che all’occhio umano la funzione reale sembra una costante, da un certo punto in poi. Bene, la prima curva, quella più alta di tutte che supera la costante teorica che volevamo replicare col macchinario reale, si chiama sovraelongazione.

Quando ho finito di leggere Un karma pesante, il libro di Daria Bignardi, la signora Sofri, la prima cosa che ho pensato è stata che quel libro lì assomigliava a una funzione reale, a un macchinario, dove la costante dritta, perfetta e teorica è la vita immaginata da una persona che vorrebbe nascere, vivere e invecchiare senza che debba succedere per forza qualcosa di particolare, e la narrazione, invece, è il macchinario reale che spiega questa vita teorica, dove non succede davvero granché di particolare, ma non è proprio una cosa dritta che fila via liscia e imperturbabile.

Il primo capitolo è una sovraelongazione narrativa, se mi passate il termine. Inizi a leggere il karma pesante e dici Cavolo, che figata. Perché il primo capitolo, che è anche quello scritto meglio e il meno noioso del libro, ti catapulta a novemila metri d’altezza, su un aereo, dove la protagonista, che si chiama Eugenia, muore. Una cosa che non si era quasi mai sentita.

Il problema della macchina della narrazione, però, è che è incostante. Passa dal presente al passato, facendo su e giù per la vita vera della protagonista, una vita normale e anche un po’ inutile, che se non fosse per quei saliscendi narrativi, dove quando si sale siamo nel presente e quando si scende siamo nel passato di Eugenia, la protagonista, se non fosse per il saliscendi, avremmo chiuso il libro e saremmo andati a fare una passeggiata.

Con l’andare della storia, invece, questo andar su e giù dalla linea della vita normalissima nel passato e nel futuro di Eugenia si fa sempre meno ripido, sempre più vicino alla linea della vita normalissima, finché, alla fine del libro, la macchina narrativa diventa indistinguibile dalla costante, dalla vita immaginata. E così, nel momento preciso in cui le due funzioni diventano indistinguibili, il libro finisce, perché se la signora Sofri avesse continuato a scrivere delle altre cose, avrebbe scritto una storia noiosa e normalissima, avrebbe imbrattato le carte.

Un giorno di qualche settimana fa ho letto il primo capitolo ad alta voce e l’ho messo su internet. Poche ore dopo mi è arrivata una mail del buon Carlo Dulinizo, che il libro non l’aveva mica letto. Diceva, la mail: “Si vocifera che la prima cosa che dicono alla scuola Holden è di mettere la cosa migliore del libro all'inizio, come incipit, per acchiappare il lettore, così poi dicono che è fatta, infatti le chiusure e l'inmezzo di Baricco son sciapi e insignificanti. Forse anche per la Bignardi è così”. Son saltato subito sulla sedia e gli ho risposto che sì, è così. Gli ho detto che questa cosa succede con i macchinari reali che vogliono andar dietro alle funzioni teoriche e gli ho detto che è un fenomeno che si chiama sovraelongazione. Mi ha dato del matto, lui, il buon Carlo. Ma secondo me ha capito.

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(Daria Bignardi, "Un karma pesante", Mondadori 2010, pagg. 224)(update: note a margine e uno spoiler)

2 commenti:

  1. il titolo è un piccolo capolavoro, io l'avrei messo anche nel tumblr. Ora mi tocca linkarlo direttamente da qua, che poi anche sovraelongazione narrativa c'ha un gusto tutto suo, un bel gusto tutto suo

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  2. Anonimo8:08 PM

    ma quanto è fatta bene questa recensione?!? like a manetta.
    bravo!

    (sidgi)

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